Oggi riprendiamo il concetto di "immagine di se" ma trattandolo da un angolazione completamente diversa dal solito. Volevo parlarvi infatti del lavaggio del cervello, dei suoi effetti e delle tecniche utilizzate per indurlo.
Durante la guerra civile coreana della fine degli anni 50, i coreani riuscirono a convertire con successo un numero estremamente elevato di prigionieri americani al "comunismo". Non lo fecero attraverso la tortura ne promettendo loro ricompense o quant'altro; ci riuscirono semplicemente cambiando l'immagine che il soldato aveva di se.
Quello che infatti i coreani ebbero il merito di comprendere era che il comportamento umano è direttamente collegato alla persona che crediamo di essere. Tutto quello che facciamo conferma a noi stessi ciò che siamo e ciò che siamo o cerchiamo di essere attraverso i nostri modi di agire riflette l'immagine che abbiamo di noi stessi. Un vero e proprio vicolo cieco.
I coreani ruppero questo cerchio!!! I soldati americani erano tutti addestrati a resistere agli interrogatori nemici ed erano stati programmati a rispondere rivelando solo il proprio nome, numero di matricola e grado. Non era sicuramente facile riprogrammare questi uomini, ma i coreani furono pazienti e soprattutto agirono per gradi, un passo alla volta.
Durante gli interrogatori il prigioniero veniva convinto a fare una o due affermazioni lievemente antiamericane o procumineste ...affermazioni del tipo: "l'America non è perfetta" oppure "in un paese comunista c'è meno disoccupazione e meno criminalità". Accettabile come richiesta, non credete??? Un piccolo compromesso con se stessi...per tenere tranquille le guardie nemiche e sopravvivere...
Una volta strappate al prigioniero queste affermazioni solo in apparenza poco importanti, i coreani chiedevano ai prigionieri di definire in maniera più precisa in che maniera gli Stati Uniti non erano perfetti. Quando poi il prigioniero era stanco gli veniva chiesto di apporre una firma alla lista di motivazioni che aveva stilato.
In seguito gli veniva chiesto di leggere la sua lista ad un gruppo di discussione con altri prigionieri. A questo punto i coreani trasmettevano il nome del soldato e la sua lista con un comunicato radio antiamericano diffuso non solo all'interno del suo campo, ma in tutti gli altri campi di prigionia e al resto delle forze americane nella Corea del Sud.
A questo punto il prigioniero si ritrovava etichettato come un collaborazionista, uno che aiutava il nemico, insomma!!!
Quando i compagni di prigionia gli chiedevano perchè lo avesse fatto, non poteva di certo affermare che lo avessero torturato; si trattava effettivamente di ciò che aveva detto e firmato lui stesso.
Numerose ricerche in campo psicologico hanno dimostrato che l'essere umano riesce a tollerare solo un certo grado di discrepanza tra i propri pensieri e i propri comportamenti. Ignaro della forza della propria immagine di se, il prigioniero sentiva di dover giustificare le proprie azioni per mantenere una certa coerenza con l'idea che aveva di se stesso, della propria identità. Era disposto ad affermare che ciò che aveva detto era vero: in quello stesso istante cambiava l'immagine che aveva di se.
Ora credeva di essere filocomunista e i suoi compagni di prigionia confermavano questa sua nuova identità trattandolo in modo diverso. Il cerchio si ero chiuso!!!!
In breve tempo il desiderio di agire in modo coerente con questa sua nuova immagine di se lo avrebbe portato a collaborare ancor di più con i coreani, rafforzando quindi la sua nuova visione di se fino a non metterne più in discussione la veridicità.
Se ti interessa l'argomento sull' "immagine di se", qualche tempo fa ho pubblicato un articolo con un esercizio intitolato proprio "riprogrammare l'immagine di se"...
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Ciao a tutti e ancora....Buona Domenica,
Antonio
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